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Rito del lavoro non si applica di regola al procacciatore d’affari

di Avvocato Emanuele Compagno

Il legislatore ha voluto annoverare tra le controversie con rito del lavoro quelle concernenti i cosiddetti rapporti “parasubordinati” escludendo quelli di tipo imprenditoriale.
Il legislatore, all’art. 409 c.p.c., ha stabilito la competenza del tribunale del lavoro in 5 casi:
1. lavoro subordinato;
2. mezzadria, colonia, affitto a coltivatore diretto;
3. agenzia e rappresentanza commerciale o rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;
4. dipendenti pubblici per attività di tipo economico;
5. dipendenti pubblici le cui controversie non siano demandate a altri giudici;

Esiste netta differenza tra agente-rappresentante commerciale da un lato ed il procacciatore d’affari dall’altro.
Sulla differenza tra queste due ipotesi sono stati scritti fiumi d’inchiostro ed innumerevoli sentenze.
Il procacciatore d’affari NON è un agente.
La disciplina degli agenti NON si applica ai procacciatori d’affari.
Infatti la Giurisprudenza distingue nettamente l’agenzia-rappresentanza commerciale dal procacciamento d’affari. Quest’ultimo non è agenzia, né rappresentanza commerciale poiché il procacciatore non rappresenta l’azienda, ma si limita a portare nuovi clienti, a segnalarli e mettere in relazione l’azienda con quest’ultimi, lasciano poi libere queste ultime due parti nello stipulare i reciproci accordi.
Atteso il procacciatore certamente non è stato un agente il rito del lavoro potrebbe essere applicabile solo nel caso di cui al . 3 dell’art. 409 c.p.c, ovvero collaborazione con caratteri della continuità, coordinazione e personalità, ovvero una sostanziale prestazione di mera manodopera.

Tali requisiti devono sussistere congiuntamente (Cass. 3486/01 e 12368/97).

In merito al procacciamento d’affari, nel concreto, poi, sussiste l’applicabilità del rito del lavoro solo se sussiste stabilità ed inserimento organico (come recita la sentenza richiamata da controparte) nell’azienda in quanto il procacciatore, per definizione, non è legato all’azienda da un rapporto stabile ed organico.
Nel procacciatore si presume l’ INSUSSISTENZA della stabilità e coordinazione. (Cass. 6959/2000; 4327/2000; 1447/2000; 12106/2003; 27729/2005).

Nel caso in esame, quindi, ci può essere la competenza del tribunale del lavoro solo se sono provati i tre presupposti di cui parla il n. 3 ultima parte dell’art. 409 cpc ovvero se la prestazione abbia assunto i caratteri della: 1.continuità, 2.coordinazione, 3.prestazione di lavoro prevalentemente personale (nella sostanza la mera manodopera)
Per continuità s’intende la non occasionalità della prestazione assumendo rilevanza la causa dell’incarico stesso (Cass 2120/01).

La coordinazione è connessione funzionale che deve essere caratterizzata dall’ingerenza del committente nell’attività del prestatore (Cass. 6753/02).
Anche la giurisprudenza che tende ad allentare tale tipo di ingerenza, in ogni caso lo prevede almeno nell’indicazione del risultato da ottenere (Cass. 9550/95; 3272/92; 4357/87; 6053/86), come tipicamente avviene nel mandato per agenzia.
Ancora, la giurisprudenza, anche per le professioni più liberali, come quella del medico, prevede, ai fini dell’applicazione dell’art. 409 n.3 cpc, che il professionista sia comunque sottoposto alle direttive ed istruzioni (Cass. 6389/88; 6475/86). La “coordinazione” è un assoggettamento gerarchico alle direttive aziendali.

Infatti solo in questo secondo caso vi è la competenza del Tribunale del Lavoro, nel primo caso no.
Spetta, semmai, alla parte interessata, dimostrare l’esistenza dei requisiti di coordinazione, continuazione e stabilità per integrare i presupposti dell’art. 409 c.p.c. sulla competenza del Tribunale del Lavoro, presupposti che nel contratto di procacciamento d’affari sono presunti assenti.
In questo caso, quindi, si prescinde dalla classificazione del contratto come agenzia, rappresentanza commerciale o altro, ma si ha riguardo solo all’esistenza dei presupposti ci cui al n. 3 dell’art. 409 c.p.c..
Infatti la legge limita la competenza del tribunale del lavoro solo all’agenzia e alla rappresentanza commerciale.
Per il procacciamento d’affari valgono le regole ordinarie e cioè la competenza del tribunale ordinario.
Tribunale del lavoro solo, come per ogni e qualsivoglia contratto, in presenza dei tre presupposti citati.