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Buoni Fruttiferi Postali, sì al rendimento dal 20. al 30. anno anche dopo decreto del 1986

di Avv. Emanuele Compagno

La modifica dei saggi di interesse di cui al decreto del 1986 non ha annullato anche la clausola sul rendimento dal ventesimo al trentesimo anno. Erra chi sostiene il contrario invocando la sentenza della Cassazione 13979 del 2007.

Invero tale sentenza non ha inciso sui rendimenti dal ventesimo al trentesimo anno.

Nulla risulta variato della originaria stampigliatura con riferimento ai rendimenti dal ventunesimo al trentesimo anno.

Come l’Arbitro Bancario e Finanziario ha statuito:

“Quanto al periodo di tempo successivo alla scadenza ventennale, deve osservarsi come la regolamentazione sopravvenuta e persino la stampigliatura apposta sul buono nulla disponga al riguardo, mentre la nuova tabella contempla il rendimento per vent’anni dall’emissione, nulla dice per quello relativo all’ulteriore decennio, previsto invece dalla stampigliatura posta sul retro del buono.

Pertanto, per il periodo successivo a quello stabilito dal decreto, cioè quello dal 21° al 30° anno, “in assenza di modifica, la liquidazione deve avvenire secondo quanto testualmente previsto dal titolo.

Poste dovrà provvedere alla liquidazione degli interessi dal 21° al 30° anno secondo quanto riportato sul retro dei titoli medesimi”.

Così la decisione del Collegio ABF di Torino, 29 gennaio 2018, n. 2571, cui alla decisione del medesimo Collegio dell’8 maggio 2017, n. 4868; Collegio Bologna, 13 febbraio 2018, n. 3621; Collegio di Roma, 21 luglio 2017, n. 8791; Collegio di Milano, 29 giugno 2016, n.5998; Decisione Napoli N. 6204 del 27 febbraio 2019; Decisione Napoli N. 6203 del 27 febbraio 2019; Decisione Bari N. 5014 del 18 febbraio 2019; Decisione Milano N. 4954 del 14 febbraio 2019.

“Ai fini della decisione occorre considerare il consolidato orientamento espresso dal Collegio di Coordinamento dell’ABF (cfr. decisione n. 5674/2013), il quale – condividendo e sviluppando, con ampia e articolata motivazione, i principi enunciati sul punto da Cass. civ., Sez. Un., n. 13979 del 15.06.2007 – ha riconosciuto che “con la sola eccezione dell’attribuzione alla parte pubblica dello jus variandi dei tassi di interesse mediante decreti ministeriali successivi all’emissione, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti: se si può ammettere che le condizioni del contratto vengano modificate (anche in senso peggiorativo per il risparmiatore) mediante decreti ministeriali successivi alla sottoscrizione del titolo, si deve invece escludere che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere invece, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto stesso della sottoscrizione del buono. Sicché, qualora il decreto ministeriale modificativo dei tassi sia antecedente alla data di emissione del buono fruttifero, si ritiene che possa essersi ingenerato un legittimo affidamento del cliente sulla validità dei tassi di interesse riportati sul titolo e che tale affidamento, come affermato nella citata sentenza n. 13979 del 15.06.2007, debba essere tutelato. In tal caso, al ricorrente dovranno essere applicate le condizioni riprodotte sul titolo stesso (cfr. Coll. Milano, n. 4580/2015 e n. 5653/2015: Coll. Napoli, n. 882/2014 e n. 5577/2013; Coll. Roma, n. 2659/2015 e n. 5328/2014).

A margine di quanto precede, si deve considerare che l’Arbitro Bancario Finanziario ha recepito da tempo l’indirizzo interpretativo adottato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui i buoni fruttiferi devono qualificarsi come meri documenti di legittimazione (cfr.in tal senso Cass. n. 27809/2005) e, pertanto, non presentano i requisiti di letteralità e astrattezza che connotano invece i titoli di credito. Quale ulteriore conseguenza, tali buoni possono subire un’eterointegrazione del regime dei tassi di interesse convenuto dalle parti al momento dell’emissione (cfr. la decisione di questo Collegio n. 1465/12). Seguendo le indicazioni della Corte di legittimità, questo Collegio ha avuto modo di affermare a più riprese che il collocamento dei buoni dà luogo alla conclusione di un accordo negoziale tra emittente e sottoscrittore e che, nell’ambito di detto accordo, l’intermediario propone al cliente e quest’ultimo accetta di porre in essere un’operazione finanziaria caratterizzata dalle condizioni espressamente indicate sul retro dei buoni oggetto di collocamento, i quali vengono compilati, firmati, bollati e consegnati al sottoscrittore dall’ufficio emittente. Ciò impone all’intermediario, anche in ossequio alle norme in tema di trasparenza, di riportare sul buono i dati necessari per consentire al sottoscrittore di valutare in modo adeguato i profili di rendimento e di rischio connessi al suo investimento (cfr. Cass., Sez. Un., 15/06/2007, n. 13979). Muovendo da simili premesse, risulta chiaro che detta esigenza di compiuta informativa del risparmiatore sarebbe ab origine posta nel nulla ove si ammettesse che – così come sostiene il resistente – le condizioni alle quali l’intermediario si obbliga possono essere diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono ed ivi riportate. Deve essere accolta, quindi, la richiesta del ricorrente relativa al riconoscimento degli interessi nella misura ed alle condizioni riportate nel timbro leggibile apposto sul retro dei buoni fruttiferi della serie “Q/P” dal medesimo sottoscritti. Per identici motivi, il ricorrente avrebbe diritto a vedersi riconosciuti anche gli interessi stampigliati a tergo di tali buoni fruttiferi della serie “Q” nell’ipotesi in cui essi fossero superiori a quelli previsti dal citato d.m. n. 148/1986″.

L’ABF è pacifico, anche con provvedimenti del 2019, nel riconoscere il rendimento oggi qui chiesto anche con riferimento ai buoni della serie P (come quelli di cui si tratta) ancorché siano o meno stati poi modificato in serie Q.