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Quando le personalizzazioni escludono il diritto di recesso

di Avv. Emanuele Compagno

La sentenza del Giudice di Pace di Bassano del Grappa in commento affronta una questione giuridica che finora non era stata chiaramente delineata dalla giurisprudenza. Il tema concerne i limiti del diritto di recesso nell’acquisto di beni mobili in presenza di personalizzazioni.

Secondo il Giudice di pace non escludono il diritto di recesso le personalizzazioni comunque rientranti a catalogo tra le varie soluzioni opzionabili o che non siano di rilevanza tale da incidere significativamente sulle caratteristiche del bene medesimo.

Una signora aveva acquistato una poltrona tramite le cosiddette vendite “porta a porta” al prezzo di 3.500,00 euro, versando un acconto di euro 1.000,00.

Nel modulo d’ordine erano state barrate alcune opzioni relative al tessuto, imbottitura e varie finiture.

Inoltre, era stata richiesta la ricamatura del nome dei figli su una tasca esterna della poltrona.

Pochi giorni dopo la donna aveva inviato la raccomandata all’azienda produttrice, esercitando il diritto di recesso.

L’azienda aveva rifiutato il recesso sostenendo che le varie personalizzazioni, ai sensi dell’art. 59 del codice del consumo, lo escludevano.

Il punto c) di detto articolo prevede l’esclusione del diritto di recesso “per la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati”.

La ratio della norma è di evitare che un bene, prodotto seguendo le specifiche richieste del consumatore o creato ex novo appositamente, dietro sua puntuale richiesta, venga poi restituito senza motivo al mittente, mettendo l’azienda in difficoltà per l’impossibilità di rivenderlo a terzi, di rigenerarlo o di trovare un nuovo mercato sul quale collocarlo.

Prima della consegna della poltrona la donna veniva a mancare e l’azienda non consegnava la poltrona nemmeno nei mesi successivi.

Il figlio, come erede, chiedeva ed otteneva l’emissione di decreto ingiuntivo, rappresentando, già in ricorso, che l’azienda non aveva accettato il recesso a motivo delle ritenute personalizzazioni.

Il Giudice condivideva la posizione del ricorrente, emettendo il decreto ingiuntivo.

L’azienda si opponeva al decreto ingiuntivo sostenendo l’esclusione del diritto di recesso a motivo delle personalizzazioni e chiedendo, con domanda riconvenzionale, il pagamento dell’intero prezzo della poltrona.

Si costituiva l’erede rappresentando che l’art. 59 non considera i beni “personalizzati” come motivo per l’esclusione del diritto di recesso, ma i beni “chiaramente personalizzati”.

Questo perché vi sono opzioni attivabili che non possono definirsi “personalizzazioni”.

Per “chiara personalizzazione” s’intende una lavorazione del tutto particolare, richiesta dal consumatore secondo indicazioni che non sono previste a catalogo, quindi in maniera non standardizzata. 

Non lo escludono:

  1. Le personalizzazioni proposte direttamente dall’azienda, tra le opzioni attivabili;
  2. Le personalizzazioni, ancorché non proposte dall’azienda, ma di minima importanza e poco rilievo nell’economia generale dell’affare.

Non, quindi, le personalizzazioni di minore importanza.

Escludono il recesso, quindi, le ampie personalizzazioni, non previste a catalogo o tra le opzioni attivabili, chieste in via del tutto eccezionale dal consumatore stesso, fuori dallo standard previsto dall’azienda.

Nel caso di specie, però, l’unica personalizzazione indicata “a penna” nel contratto erano i nomi dei figli dell’anziana, ma tale opzione era stata proposta dall’azienda e – addirittura – presente in pubblicità.

Le altre opzioni scelte erano tutte a contratto tra le opzioni attivabili per realizzare il prodotto.

A tal riguardo l’Autorità Garante della Concorrenza del Mercato con provvedimento n. 26820 del 25 ottobre 2017 ha sanzionato una società che vende poltrone e divani per pratica commerciale scorretta e per aver limitato e impedito l’esercizio del diritto di recesso sull’acquisto fuori dei locali commerciali di poltrone e divani.

L’Autorità aveva ritenuto che “il diritto di recesso non sia escluso nel caso in cui il bene possa essere ripristinato nelle condizioni anteriori alla personalizzazione, senza pregiudizio per le sue qualità e funzionalità, a un costo relativamente ridotto”.

Nel caso trattato dall’Autorità il professionista aveva escluso la possibilità di recedere per il consumatore, con la motivazione che il bene acquistato rientrasse nella categoria dei beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati.

La vicenda riguardava un consumatore che aveva sottoscritto, presso il proprio domicilio, un contratto di acquisto di una poltrona pubblicizzata tramite televendita. Il professionista, pertanto, a seguito della richiesta di recesso, non restituiva l’anticipo versato dal consumatore con la motivazione che l’ordine riguardava la vendita di prodotti personalizzati.

In realtà la poltrona ordinata era semplicemente uno dei modelli di poltrone vendute dall’azienda e non una richiesta personalizzata ed unica, tale da doverla produrre in esclusiva per il cliente e su richiesta dello stesso, fuori catalogo.

Il professionista, infatti, voleva far passare quale personalizzazione del bene, la scelta tra svariate e differenti opzioni apportabili al bene scelto dal consumatore, nonché alcuni elementi accessori predeterminati.

Secondo l’Autorità, la sussistenza a catalogo di quattro diversi modelli standard o diversi accessori, non costituiva personalizzazione del bene e, come tale, non poteva escludere il diritto di recesso. Infatti, le personalizzazioni di modesta entità come quelle cromatiche – peraltro indotte dagli stessi venditori – non potevano integrare ipotesi di esclusione dal diritto di recesso.

Nel caso di Bassano del Grappa, poi, non aveva alcuna rilevanza la dicitura a catalogo che alcune opzioni potevano generare l’esclusione del diritto di recesso.

Non è, infatti, l’azienda a decidere quando si sviluppi la perdita del diritto di recesso, ma la legge. E ciò indipendentemente dal fatto che l’azienda pretenda di anticipare tale momento rispetto a quanto stabilisce la normativa.

Infatti, le clausole di esonero della responsabilità o limitative del diritto di recesso, ancorché inserite dal professionista a contratto, per legge si considerano come non apposte poiché violano la disciplina dispositiva in merito alla tutela del consumatore.

Le clausole che riducano il diritto di recesso di cui all’art. 52 del codice del consumo, sono clausole vessatorie, prive di valore.

Inoltre, trattandosi di formulari predisposti dal professionista, le clausole vanno interpretate sempre a favore del consumatore, come stabiliscono le norme sull’interpretazione dei contratti.

Il legislatore, ad aprile 2023, ha addirittura ampliato le tutele del consumatore in tema di recesso, estendendo a 30 giorni il diritto di recesso in caso di vendite porta a porta.

La tendenza, quindi, è per una sempre maggiore tutela del consumatore in tema di recesso.

La personalizzazione in questione, poi, era di minima rilevanza.

La tasca ben poteva essere sostituita senza particolari aggravi o incomodi da parte dell’azienda.

Trattasi di una personalizzazione che non incideva sulla struttura del bene, ma mero dettaglio accessorio, applicato, facilmente sostituibile o eliminabile.

In sé la poltrona non veniva personalizzata per dimensioni, struttura o altro, ma rimaneva tale e quale, senza modifiche di sorta.

L’Autorità aveva rilevato, sul punto che: “Le personalizzazioni di modesta entità, come ad esempio quelle cromatiche, peraltro indotte dagli stessi venditori, non potessero integrare ipotesi di esclusione dal diritto di recesso” (delibera citata che richiama TAR Lazio Roma sez. I 9/6/2011 n. 5161).

Anche alcuni accessori standard predefiniti, sono stati considerati (erroneamente dal professionista n.d.r.) elementi atti a conferire al prodotto la natura di bene “chiaramente personalizzato”, non potendo gli stessi ragionevolmente precludere la rivendibilità del prodotto ad un altro consumatore, in virtù del marginale impatto sulla struttura del prodotto” (delibera citata).

Ne caso che ci occupa, poi le modifiche non erano, poi, irreversibili.

Infatti, l’eliminazione non era tecnicamente impraticabili o non determinava costi eccessivi.

Tale impossibilità o estrema improbabilità di rivendita del prodotto, assemblato secondo le specifiche indicazioni ricevute dal cliente all’atto dell’ordine, andrebbe, altresì, coniugata con l’effettiva irreversibilità delle modifiche apportate al bene, considerando tali solo quelle la cui eliminazione risulta non praticabile dal punto di vista tecnico (avendo determinato una modifica non reversibile sulla struttura del prodotto) o economico (comportando costi eccessivi per il reintegro del prodotto al modello standard)”. (delibera citata).

Alla luce della sopra descritta impropria espansione dei casi suscettibili di determinare la perdita del recesso, risulta da censurare la prassi del professionista di accogliere le richieste soltanto nel caso in cui le stesse siano formulate in tempi brevi dalla stipula del contratto (al fine di poter positivamente bloccare l’ordine ai propri fornitori). Tale condotta integra un ostacolo al pieno esercizio del diritto di recesso, dal momento che i tempi e le modalità di esercizio dello stesso sono stabilite direttamente dalla legge (cfr. articolo 52 del Codice del Consumo)”. (delibera citata).

In linea generale, secondo l’Antitrust, per capire se un bene possa essere ritenuto personalizzato oppure meno, va presa in considerazione anche “l’effettiva irreversibilità delle modifiche apportate al bene, considerando tali solo quelle la cui eliminazione risulta non praticabile dal punto di vista tecnico (avendo determinato una modifica non reversibile sulla struttura del prodotto) o economico (comportando costi eccessivi per il reintegro del prodotto al modello standard)”.

In base a questi parametri, ad esempio, un copripoltrona è un accessorio che, “anche senza procedere a specifici accertamenti tecnici, è possibile ritenere ragionevolmente reversibile”.

Sul punto era intervenuta la giurisprudenza comunitaria:

L’eccezione al diritto di recesso, prevista nel caso di contratti di fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati, può essere opposta dal professionista al consumatore, che ha concluso un contratto negoziato al di fuori dei locali commerciali, se il consumatore ha richiesto un bene che doveva essere confezionato secondo precise caratteristiche da lui indicate”. Corte giustizia UE , sez. VI , 21/10/2020 , n. 529.

– ECLI:EU:C:2020:382 – Sentenza della Corte (Sesta Sezione) – 14 maggio 2020. Qui viene ribadita la nozione di beni personalizzati: quelli realizzati secondo una decisione individuale: “si riferisce a un bene mobile materiale, non prefabbricato e realizzato in base a una scelta o decisione individuale del consumatore”.

Causa C-529/19 – “il diritto di recesso non sia escluso nel caso in cui il bene possa essere ripristinato nelle condizioni anteriori alla personalizzazione, senza pregiudizio per le sue qualità e funzionalità, a un costo relativamente ridotto”.

Nel caso di Bassano del Grappa la modifica era minima e tale da non comportare costi eccessivi per sostituire la tasca.

Era una minima – e non chiara – personalizzazione.

La poltrona non era stata realizzata secondo precise indicazioni del consumatore, ma secondo quanto stabilito dal professionista che, tra le opzioni possibili, ha indicato anche il ricamo della tasca, addirittura in pubblicità.

Quindi non si trattava di prodotto realizzato al di fuori dello standard consentito dal professionista, non si trattava di lavorazioni particolari, eccezionali, diverse da quanto predisposto dal professionista.

Il decreto ingiuntivo veniva, quindi, confermato con condanna dell’azienda alle spese di lite.